Da diversi anni è in corso un dibattito che associa allo sviluppo delle nuove tecnologie una progressiva scomparsa della noia. L’impressione è che l’utilizzo di Internet e degli smartphone occupi gran parte del tempo delle persone in generale: incluso quello in cui in passato si sarebbero probabilmente annoiate.

Un’idea molto condivisa è che ridurre l’uso dello smartphone possa di conseguenza favorire l’esperienza della noia. C’è chi suggerisce di farlo proprio perché ritiene che quel tipo di esperienza sia benefica, ma oggi meno disponibile che in passato.

Alla noia diversi studi attribuiscono la capacità di migliorare la creatività e l’immaginazione, e nel caso dei bambini quella di accrescere la familiarità con particolari sentimenti come la frustrazione e la tristezza.

Esistono tuttavia ricerche che definiscono la noia come un fenomeno potenzialmente dannoso, associandolo a un maggior rischio di depressione, disturbi d’ansia, dipendenze e problemi psicosociali. Ma perché la noia è così ambivalente? Il motivo è che non esiste una definizione condivisa e precisa di cosa sia, nemmeno tra gli psicologi.

Secondo studiosi come Eastwood e Danckert, dal momento che la noia è in gran parte una questione di attenzione insufficiente, ha senso concludere che tutto ciò che cattura e mantiene l’attenzione, e tiene le persone impegnate solo a un livello superficiale e frammentario, tenderà a incrementare la noia.

Suggeriscono quindi di limitare attività «passive» – come lo scrolling – rese possibili dalla tecnologia, che «non ha rivali nella sua capacità di catturare e mantenere la nostra attenzione».

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