L’etimologia della parola BAMBINO ha principalmente origini onomatopeiche perché le labiali B, P ed M sono le prime che il bambino impara a pronunciare e che servono in molte lingue a formare nomi di parentela. La radice onomatopeica è BAMB-.

Alcuni fanno derivare BAMBINO dal greco BAMBAÌNO = balbettare, per la tipica balbuzie di chi fa i primi passi verso il linguaggio o da BABÀZEIN= parlare inarticolatamente o farfugliare, come fanno i bambini più piccoli.

La derivazione francese BAMBILLER significa invece CICALARE, CIARLARE e associa, pertanto, l’incapacità di parlare in senso compiuto dei bambini alla ciarla, alla chiacchiera degli sciocchi, fatta di discorsi futili.

BAMBINO era, inoltre, usato come diminutivo di BAMBO = BABBEO, SCIOCCO che, di nuovo, collega l’immaturità linguistica e morale dei bambini a quella degli stolti. Anche RIMBAMBITO, infatti, ha la stessa radice e il duplice significato di SCIOCCO o di TORNAR BAMBINO, per la perdita di senno, acquisito negli anni, che la vecchiaia può causare.

Secondo l’etimologia quindi, il BAMBINO è paragonabile agli stolti finché è IN-FANTE [dal latino IN+FARI (parlare)= incapace di parlare], ma non lo sarà più quando diventerà FANTE (o FANTICELLO) e, cioè, CAPACE DI PAROLA ma anche SERVITORE, SOLDATO A PIEDI o COLUI CHE VIENE AVVIATO AL MESTIERE DELLE ARMI.

Da FANTE deriva, infatti, anche FANCIULLO. La fanciullezza, ovvero l’età intermedia tra in-fanzia e adolescenza, era ritenuta infatti l’età in cui la ragione, prima assente, faceva la sua comparsa grazie alla presenza della parola articolata e all’acquisizione di comportamenti socialmente riconosciuti, come “il mestiere delle armi”.

L’origine della parola BAMBINO fa sorgere delle domande importanti: gli IN-FANTI, seppur privi di parola, sono davvero meno giudiziosi e illogici rispetto a quando diventano FANTI, ovvero fanciulli capaci di esprimersi autonomamente?

E, davvero, il vaneggiare ed il fantasticare, comune ad infanti e stolti è così privo di senso? Il cantante Fabrizio De Andrè, per esempio, la pensava diversamente. Sosteneva, infatti, che ciò che BAMBINI, MATTI e, aggiunge, SOLITARI, hanno in comune è un altro aspetto: quello di essere se stessi.

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