Lunedì in Iran è stata eseguita la seconda condanna a morte di una persona accusata di aver preso parte alle proteste contro il regime del paese. La vittima si chiamava Majid Reza Rahnavard e aveva 23 anni.

Le proteste vanno avanti da circa tre mesi, centinaia di persone sono state uccise e migliaia di persone sono state arrestate (si stimano 450 persone morte e 14 mila arrestate).

Giovedì 8 dicembre era stata eseguita la prima condanna a morte, nei confronti del 23enne Mohsen Shekari, accusato di “inimicizia contro dio”. Era stato arrestato il 3 ottobre poiché accusato di aver bloccato una strada e ferito un agente di polizia.

Le proteste sono iniziate dopo che la 22enne Mahsa Amini è morta in carcere, era stata arrestata con l’accusa di non indossare il velo (obbligatorio secondo la legge per le donne in Iran) nella maniera corretta.

Il fratello di Amini, ha dichiarato che mentre aspettava la sorella fuori dalla prigione ha sentito delle urla provenire dall’interno. Una persona all’interno della prigione gli ha raccontato che le guardie avevano ucciso una donna. Le guardie sostengono invece che Amini abbia avuto un infarto.

La morte della ragazza ha innescato numerose proteste. Lo stato iraniano ha limitato per questo motivo l’accesso a internet, e poi represso costantemente con la forza le proteste.

Attualmente il regime iraniano ha dichiarato che potrebbe rivedere le dure norme sull’abbigliamento femminile, lasciando intuire anche, seppur vagamente, la possibilità dello scioglimento della polizia morale religiosa iraniana. Ma su questi punti non ci sono conferme ufficiali.

Le esecuzioni di Shekari e Rahnavard hanno avuto come effetto nuove proteste nelle città di origine dei due uomini.

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